28 set 2008

LA MALATTIA MI HA INGABBIATO NELLA SUA TRAPPOLA E MI HA ALLONTANATO DALLA VITA

Questa frase mi è stata detta da un paziente psicotico durante un colloquio…devo ammettere che nel momento in cui ho sentito questa affermazione mi sono sentito un secchio di acqua gelata addosso. È stato un momento di panico!
Da quel momento ho cominciato a riflettere sulla consapevolezza della malattia nei pazienti. Che cos’è la Consapevolezza? È possibile dare sinteticamente una definizione di questo termine, altamente usato in Psicologia? È importante citare Canestrari, nel suo trattato di Psicologia Generale e dello Sviluppo nel quale sottolinea: “Se la Psicologia scientifica, sin dal suo nascere, si è costituita come studio dei fenomeni coscienti,la maggior parte degli psicologi confessa di non sapere esattamente che cos’è la coscienza”.
Possiamo sintetizzare dicendo che la consapevolezza è un processo che comprende la totalità delle esperienze vissute in un determinato istante, ci rendiamo conto di noi stessi e di quello che ci sta accadendo. È classicamente accettato che nelle psicosi vi sia un’alterata consapevolezza di malattia, inteso come la capacità disturbata del soggetto nel riconoscere l’aspetto patologico e disturbato del suo funzionamento mentale.
La frase precedente può essere segno di consapevolezza di malattia? Se accettiamo la presenza di una presa di coscienza del turbato funzionamento mentale, quali struggenti emozioni può vivere un individuo che ha una tale percezione di sé. “…mi ha allontanato dalla vita” è un’affermazione che contiene un’angoscia senza limiti, come ci si può sentire ad assistere alla propria vita senza riuscire mai a prendervi parte?
Oltre ad alterare il funzionamento psichico, la malattia è così generosa da falsificare la coscienza e l’elaborare delle emozioni?
Noi individui che abbiamo un funzionamento psichico sano e/o nevrotico riusciamo ad entrare in contatto empatico con tali emozioni?
La mia modesta opinione è che di fronte a tali emozioni tormentanti e con un carico d’angoscia così pesante solo con la ragione possiamo sfiorare i loro vissuti, un contatto veramente empatico con tali condizioni emotive potrebbe causare una situazione d’angoscia tale che con difficoltà le nostre nevrotiche barriere psichiche possano non resistere.
urlo_Munch

20 set 2008

RACCONTI PSICO-ZEN

zen22C’era una volta una vecchietta nota come la “signora in lacrime” perché piangeva sempre. Piangeva nelle giornate di pioggia e piangeva nelle giornate serene.
Un passante: “Vecchia, perché piangi sempre?”
“Perché ho due figlie…una ha sposato un venditore di scarpe e una un venditore di ombrelli. Nei giorni di bel tempo penso che gli ombrelli di mia figlia non si vendono. E in quelli di pioggia penso che nessuno uscirà a comprare scarpe dall’altra mia figlia!!”
“Ma nelle giornate serene dovresti pensare che le scarpe di tua figlia si vendono bene, e in quelle di pioggia che vanno bene gli affari della figlia che vende ombrelli!”
Da quel giorno la donna in lacrime non pianse più. Invece ridacchiava fra sé ogni giorno, indipendentemente dal tempo.

Nessuna situazione è buona o cattiva, dipende solo da come la si considera.

18 set 2008

GIORNATA ROMANA

Ore 11.00, partenza per Roma.
Sono riuscito ad ottenere un incontro con la Dott.ssa Montano, direttrice dell’Istituto Beck (Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva-Comportamentale - www.istitutobeck.it ).
Salgo sull’autobus, poltrona n°5, intorno a me altri ragazzi. Dopo giorni di pioggia e freddo, mi vesto con una bellissima giacca in velluto e una pashmina in tinta. Parte l’autobus e…un sole che spacca le pietre, la temperatura in autobus è quasi caraibica, la gente intorno si toglie maglie e giacche. Mi metto a studiare un po’ un libro sulla terapia cognitiva e il ragazzo accanto a me dà un paio di occhiate. Dopo un piccolo sonnellino, il ragazzo mi chiede informazioni sul libro. Un breve scambio di battute ed interviene anche la ragazza.
Sorpresa!! Su 5 persone (dal sedile 1 al 5) tre persone sono Psy: il ragazzo studia psichiatria, la ragazza psicologia e poi ci sono io.
Una casualità che farebbe andare nel pallone qualunque statistica!
Arrivo a Roma, direzione: studio della Dott.ssa Montano; sole accecante e caldo infernale, ma ieri non faceva freddo? Che diavolo ha detto il Meteo?
Giacca in mano mi dirigo verso il verme sotterraneo che percorre tutta la capitale. Incontro una moltitudine di etnie e lingue, questo dona alla Città Eterna più fascino! metroroma
Arrivo a Termini e dopo un breve peregrinare suono al campanello dello studio della Montano. L’assistente mi fa accomodare in sala d’attesa. Divano bianco moderno, mobile antico con sopra una collezione di piccole campane (alcune proprio kitch), altre sedie circondano l’ampia stanza.
Attendo 5 minuti ed è proprio la Montano a chiamarmi e ad accompagnarmi nel suo studio.
Tutta la scrivania e la stanza sono pervase da un bizzarro e allegro caos che riflettono in maniera adeguata questa Dott.ssa molto sprint.
montanoDandomi del “Tu” cominciamo a parlare di psicoterapia cognitiva, delle nuove tendenze e della sua scuola. Sono venuto nella possibilità di ampliare le mie conoscenze teoriche e pratiche. Con un entusiasmo che traspare sia dagli occhi che dal comportamento mi descrive la sua scuola, il suo modo di lavorare e formare le giovani menti. Mi parla brevemente del Congresso ad Helsinki da cui è appena tornata, mi spiega cosa le ha colpita di quell’incontro internazionale. Devo dire che trasmette veramente la gioia e la voglia di studiare e fare psicoterapia. Dopo circa una mezz’ora ci salutiamo e subito mi rituffo nel caos capitolino al fine di riprendere la metro.
Diverse lingue, diversi colori di pelle, diversi modi di vestire, diverse vite e aspettative che si incontrano in questo tunnel sotterraneo che in un batter d’occhi mi porta al mio autobus.
N°18, vicino al finestrino. Ore 19, viaggio quasi finito. Davanti a me c’è un gruppo di signori che allegramente si scambiano alcune battute (anche audaci!). statisticamente, tra il n°1 e il 18 quanti Psy ci saranno?

12 set 2008

ELETTROSHOCK

Quanti pensieri, immagini e emozioni vi stanno scuotendo nel sentire il titolo di questo post? Ma riflettendo un po’…quanto di noi conoscono questa tecnica?!
Questa tecnica è caratterizzata dal passaggio di, di breve durata, di corrente elettrica mediante elettrodi. Agli albori di questa metodologia di intervento lo shock era causato da iniezioni di particolari sostanze (es.: canfora, 1934),successivamente grazie a due medici italiani Cerletti e Bini si arrivò all’utilizzo della corrente elettrica e a un vero e proprio protocollo di somministrazione. Intorno agli anni 40 questa tecnica ebbe un successo planetario, in particolar modo la sua efficacia su depressioni gravi, schizofrenie catatoniche, arresti psicomotori e crisi maniacali.
L’avvento negli ambienti psichiatrici di movimenti “romantici” consideravano questo tipo di terapia una tortura portò pian piano all’oblio di questa tecnica.
Ancor oggi, molti criticano le terapie elettroconvulsive senza conoscerne approfonditamente la storia e i metodi di applicazione. Anche gli psichiatri si trincerano dietro motivazioni che in verità non hanno riscontri scientifici.
Tra le obiezioni principali che si espongono è la credenza che si verifichi un danno cerebrale durante i cicli di somministrazione. Studi scientifici non hanno riscontrato alcun tipo di deterioramento cerebrale.
La poca conoscenza delle cause dell’efficacia (come accade per alcuni farmaci) è la seconda argomentazione che si solleva contro l’elettroshock.
In molti Stati europei le terapie elettroconvulsive sono utilizzate in casi selezionati farmaco-resistenti, non vi è tutto l’astio che è presente tra gli italiani.
Come mai in Italia si è contro una tecnica di efficacia scientificamente provata?
Le risposte possibili sono rintracciabili nella nostra cultura romantica, che non riesce ad accettare che la mente e il cervello, così affascinanti, misteriosi e “sacri” possano venire influenzati da tecniche così fisiche e di un forte impatto emotivo.
Da non sottovalutare è anche la descrizione esagerata che ne hanno fatto, a più riprese, il cinema e la letteratura.
Dal 2007 è nata in Italia l’ “Associazione Italiana per la Terapia Elettroconvulsivante” che si batte per la libertà del malato di scegliere liberamente le cure, tra queste vi è l’elettroshock. Il sito di questa associazione è: www.terapiaelettronconvulsiva.it


elettroshock

8 set 2008

SONDAGGIO

Al fine di migliorare il Blog ho deciso di indire un sondaggio che durerà un mese. Nella colonnina al lato scegliete quale rubrica del Blog ampliereste. Se avete idee su nuove sezioni potete inserirle nei commenti!CIAO!

6 set 2008

30 ANNI DELLA LEGGE 180

La legge 180/78, conosciuta anche come legge Basaglia, ha sancito la chiusura dei manicomi e ha regolamentato l’istituzione del ricovero coatto in psichiatria. Sicuramente la chiusura dei manicomi è stato un balzo verso una maggiore umanità e rispetto del malato. La legge 180 è figlia di un approccio non psichiatrico alla sofferenza psichica, che considera l’individuo come persona con dei problemi da affrontare. In base a tale approccio gli psicofarmaci non sono per niente utili all’individuo ma servono solo a migliorare le condizioni di vita di chi si occupa dello psichiatrizzato. La diagnosi è solamente un pregiudizio psichiatrico e bisogna sostituire il dialogo ad alcune pratiche coercitve che si scontrano con la volontà del soggetto e sono pseudo-scientifiche.
Ormai sono passati c30 anni dalla promulgazione di questa legge, ma continua a permanere una psichiatria molto farmacologica e poco umana. Le strutture riabilitative, purtroppo, molto spesso non sono altro che il riproporsi in versione minore delle vecchie strutture manicomiali. Sicuramente gli attuali psicofarmaci sono molto più efficaci e con minori effetti collaterali ma molto spesso si assiste alla prescrizione di essi senza un vero e proprio confronto con la sofferenza dell’individuo.
Personalmente, ritengo la persona con difficoltà psichiatriche gravi malati, per tale motivo doppiamente degna di ascolto e assistenza. Non si può negare la malattia mentale riducendola a semplice conflitti che si possono risolvere con il dialogo. Il contatto umano empatico e il sostegno rimangono le migliori cure, ma bisogna rendersi conto che non sono le uniche e le risolutrici.
L’uso adeguato di farmaci in sintonia con un buon percorso psicologico (o riabilitativo) sono le “armi” migliori per affrontare il “mostro” della malattia.
basaglia